sabato 15 ottobre 2011

La lotta per la vita (E. Bianchi) recensione

Enzo Bianchi Una lotta per la vita Edizioni Paoline 2011
 
 
 
La lotta per la vita di cui Enzo Bianchi affronta la decisività nella recente opera omonima, è la lotta spirituale della vita cristiana contro i peccati e le tentazioni capitali che contrastano il compimento del nostro essere uomini.
Ogni personalità umana deve sostenere e vincere tale lotta per realizzarsi pienamente, ma può sostenerla e vincerla solo se lascia fare alla grazia di Dio che agisce nel suo “cuore”.
Nell'accezione che il termine assume per la Bibbia e per i padri della Chiesa, il cuore è la vita umana nella sua totalità, di cui è la spiritualità mistica che esprime l'esperienza integrale: “ sede della vita sensibile, della vita affettiva e della vita intellettuale, il cuore contiene gli elementi costitutivi di ciò che noi chiamiamo” persona “ ( citazione da A. Guillaumont, “ Le sens des noms du coeur dans l'antiquité”, pg.33).
L'uomo, nel suo spirito, in virtù di ciò che diventa grazie all'ascolto della Parola e alla vittoria sulla potenza del male che consegue con il concorso dello spirito di Dio, può pervenire allo “stesso sentire che fu in Cristo Gesù,” al punto di poter dire, come Paolo, “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”( Galati 2, 20), che lo stesso “ vivere è Cristo” ( Filippesi, 1, 21). “ Nella mia lotta sii tu a lottare” invocando come l’autore del Salmi ( Salmi 43,1; 119,54).
In tal senso Enzo Bianchi afferma ciò che della lotta spirituale sostiene Mastro Eckhart, allorché ci avverte che “non è attraverso le vostre azioni che sarete salvati, ma attraverso il vostro essere. Non è per il vostro fare, ma per ciò che siete che sarete giudicati”. Solo l’assimilazione del nostro essere a quello di Cristo, infatti, solo l'assimilazione al suo amore nell’incessante arte di riprendere la conformità a Cristo”( pg.62), il consentire alla misericordia di Dio confidando nella costante accessibilità del bene ad ogni nostra ricaduta nel peccato, può dettarci il vero agire salvifico che salva con noi il nostro prossimo.
Poiché la lotta per la vita è la predisposizione del nostro essere spirituale alla “grazia di Dio che, attraverso la morte dell'uomo a sé stesso, agisce in lui e lo vivifica” (pg 57), tra le otto tentazioni peccaminose capitali della tradizione cristiana risultano particolarmente gravi quelle che precludono l'apertura dell'uomo alla grazia, l'orgoglio, innanzitutto, la vanagloria e l' avarizia che gli sono affini.
L'orgoglio, che è la “radice di ogni male”, secondo le parole di Gregorio Magno, presuppone la convinzione dell'uomo di essere l'origine primaria di se stesso, la fonte del bene di cui ha il senso ed è capace, e consiste, pertanto, nell'“autocostituirsi dell'io come signore di tutto e di tutti”(pg 223), che ne alimenta la presunzione di potersi fare autosufficiente rispetto a Dio, al mondo e agli uomini.
Come afferma Evagrio Pontico, nel passo che Enzo Bianchi premette alla disamina dell'orgoglio, “ Il demone dell'orgoglio è quello che conduce l'anima alla caduta più grave. La incita, infatti, a non riconoscere l'aiuto di Dio, ma a credere che è lei stessa la causa delle proprie buone azioni, e a guardare dall'alto i fratelli, ritenendoli degli stupidi, dato che nessuno di loro sa quanto lei”(pg.219).
La vanagloria, a sua volta, è la ricerca della propria affermazione orgogliosa in ciò che si fa “ per piacere agli uomini” ( Efesini 6, 6), anziché in ciò che si è agli occhi di Dio. “ Come potete credere, Voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene solo da Dio?”( Giovanni 5, 44.).
L'avarizia è per parte sua imparentata con la vanagloria, e l'orgoglio, in quanto l'avaro “ si isola, non solo perché non condivide, ma perché accumula nella volontà di non dipendere da nessuno. L'avarizia è ricerca di un domani egoistico e garantito, un domani in cui bastare a se stessi, in cui gli altri sono esclusi di fatto dal nostro orizzonte” (pg.148).
In una sorta di demoniasi, di perichoresi e di controcreazione antitrinitaria, non c'è tentazione o peccato che non si ingeneri e che non proceda l'uno dall'altro, che l'uno all'altro non inerisca, ma lo snaturamento nella Legione delle Persone dell'Amore trinitario, e della loro creazione continua., opera sempre contro la creatività divina, nel separare ciò che essa pone in comunione, e nel confondere ciò che in essa di indiviso permane distinto, a iniziare dall'unione in Cristo di umano e divino, per originare mimeticamente le comunioni e le condivisioni apparenti, del male che distruttivamente oppone ed oscura.
Radicato nell'orgoglio, soggiacente all'individuazione di tre passioni madri – la libido amandi, possidendi, dominandi,- madri delle otto tentazioni o loghismoi che ne derivano, - ingordigia, lussuria, avarizia, collera, tristezza, acedia, vanagloria, orgoglio- su cui nell'economia di questa presentazione non ci soffermiamo-, secondo l'analisi di Enzo Bianchi sussiste dunque un peccato che è presente in ogni peccato (abbarbicato al quale l'anima resiste al dono di Dio e all’azione di grazia), la secessione da Dio e dagli uomini inoculata dall'amore di sé della carne (sarx ) paolina, la brama che ci “ oppone al desiderio profondo di Dio, quello della comunione tra sé e l’umanità, e degli uomini tra loro”(pg. 71). L’affermazione di sé viene allora snaturata nella negazione degli altri, nell'agire a proprio danno contro gli altri, anziché con gli altri e per gli altri, (cfr pg 23). 1 (nota 1)
A tale comune, grande peccato,2  (nota 2) portando a consequenzialità ulteriore il discorso di Enzo Bianchi, può essere ricondotta la stessa acedia, che ha i caratteri dello stato di perdita del senso che la vita è amore come donazione, quando si diventa inani perché si è divenuti incapaci di condivisione con gli altri del proprio bene. La tristezza, che è invidia e gelosia, può complementariamente essere interpretata come l' incapacità di condividere e di ricevere il bene degli altri, mentre la vanagloria appare la cattiva condivisione, assoggettata e assoggettante, che procede dall'affermazione di sé per imporsi agli altri, dei cui giudizi e pregiudizi si è succubi nel proprio fare ed apparire. Tale vanità si configura anche come peccato di omissione, quando per trarne più fama ci si ritrae dal mondo ( secondo l' acuta analisi di Cassiano a pg. 209 dell'opera in esame ).
Secondo l'esegesi spirituale di Enzo Bianchi così essenzializzata, il peccato originale è il prototipo esemplare del peccato d'orgoglio che figlia il peccato che è in ogni peccato. Adamo nel suo peccato non ha accettato i propri limiti, ha voluto farsi come Dio in un atto di affermazione appropriativa del suo Io, in cui ha disobbedito a Dio perché ciò che ha compiuto lo ha reso antitetico alla vita e alla creatività divina, al farsi dono di sé della Sua natura di Amore trinitario. Il peccato di Adamo, mosso dal desiderio di immortalità, di onnipotenza e di onniscienza, allorché in noi si riproduce è l'amore di sé, del nostro Io, che per la paura della morte ci sollecita alla ricerca della vita in ciò che è peccato e che infonde invece sempre più morte, il peccato originale si riproduce consequenzialmente nella nostra volontà di salvarci il cui anelito ci fa invece sempre più perdere la nostra vera vita, nell'appropriazione e nel geloso possesso delle cose di questo mondo di cui si diventa idolatri.
Nelle varie forme di idolatria, alla realtà subentra la falsificazione dell'immaginario,3 (nota 3) che induce l'uomo a sentirsi tanto più illimitato e permanente, quanto più ha e quanto più domina, in realtà quanto più si fa mortale e caduco, assimilandosi all'impermanenza delle cose di questo mondo di cui si va appropriando e da cui va dipendendo (pg. 72).
L'orgoglio adamitico di farsi come Dio nella divinizzazione dell'Ego, ci pone in antitesi al nostro vero essere, il Cristo che vive in noi, al nostro diventare sempre più umani diventando sempre più a sua somiglianza. La nostra vera divinizzazione, l'entrare in comunione con la gioia di Dio nella vita eterna, esige al contrario il morire al proprio Io ed ai suoi attaccamenti, alle sue identificazioni appropriative, il perderlo, l'Io, con la propria vita, nella donazione gratuita dell'essere che gratuitamente ci è stato donato, in obbedienza d'amore all'essere Amore della creazione divina.4 ()  (nota 4
E' quanto, in un contrappunto mirabilmente tracciato da Bianchi nella sua trama analitica, ci insegnano la lotta vittoriosa di Gesù contro le tentazioni di Satana, in virtù della Sua obbedienza al Padre e dell'accettazione della finitezza della propria incarnazione, e l'inno cristologico sublime della Lettera di Paolo ai Filippesi. In tale contrappasso, all'impossessamento esclusivo tramite il quale Adamo suppone di farsi come Dio, alla sua divinizzazione dell'Io che presume di scongiurare la morte, mentre proprio così ne diventa la preda perduta, è contrapposto l'autosvuotamento in Gesù del suo essere divino, la perdita della vita che la salva in virtù dell'amore gratuito, che solo può vincere la morte, la kenosis di patire la rinuncia ad ogni geloso possesso della propria forma divina per abbassarsi ad essere pienamente uomo, sin nella forma di servo, sino all'umiliazione ed alla vergogna della croce, in conformità con le volontà del Padre, che per questo l'ha fatto risorgere e sovraesaltato. E sulla fede nell'evento pasquale, che in ognuno di noi vivere possa essere Cristo risorto, “la lotta invisibile si fonda in radice” (pg.56)

Enzo Bianchi Una lotta per la vita San Paolo 2011, pg 244, 16 euro.




Note
1 con gli altri, e per gli altri, che dall'amore di se, o philoautia, possono essere ignorati oppure sentiti come indifferenti, disprezzati, o avversati in quanto rivali, lasciati da noi separati e distanti, oppure vissuti in conflitto antagonistico, ed essere rimossi o sottomessi sino all'estremo della loro mortificazione o distruzione reale, ( invece di pensarli e di realizzarli come un altro polo di noi stessi, a noi complementare nella realtà totale in cui tutto è in relazione con tutto).
2)Come attesta la superbia , il peccato ch'è in ogni peccato è in incubazione in ogni forma di dualismo tra Dio e il mondo e l’uomo, tra l'eternità e il tempo, in ogni processo ideale e reale che li separa in luogo di mantenerli indivisi e distinti, interconnessi e reciprocamente inerenti, e induce a credere che ciò che vale per un ordine di realtà non debba valere per l’altro.
3 Nell’analisi di Bianchi l 'immaginazione è una facoltà mentale dal tremendo potere devastante, quando alimenta il peccato, la lussuria e la collera , particolarmente, secondo un potenziale malefico che ha indotto altri teologi contemporanei a sostenere che la più grande delle attività diaboliche è l’uso della nostra immaginazione divina per creare distruzione” (Matthew Fox, In principio era la gioia pg286), trasformando in una potenza di morte la creatività dell'immaginazione che è Spirito
“Demoniaco e diabolico sono molto vicini , li separa solo una linea sottile”( Matthew Fox, ididem)
E purtroppo le stesse parole e la stessa dinamica, se non c’è carità, possono essere espressione sia della autentica lotta spirituale che della glorificazione dell’ego della fede del diavolo
4 Tale lotta della vita spirituale del credente che sia volto a essere Cristo, ha innumerevoli analogie con la pratica del risveglio alla propria buddhità del buddismo, ne condivide il distacco dal proprio agire mediante l'acquisizione della consapevolezza che ci incentra nel proprio Se interiore- che corrisponde al cuore veterotestamentario, al Dio nel fondo dell’anima della mistica cristiana.
In un teste breve dell'” Arte della vita” Anselm Grun ha fatto corrispondere alla disamina ad opera di Evagrio Pontico dell'uso negativo delle anime concupiscibile, irascibile e razionale, i tre inquinanti fondamentali del buddismo, la brama, l'ira, l'ignoranza, le tre cose distruttive della vita secondo Maometto, l'ira, l'avidità e la presunzione
Parole come le seguenti di Abba Antonio, riprese da Enzo Bianchi per insegnarci come lottare contro le suggestioni delle tentazioni, potrebbero ricorrere in qualsiasi breviario buddista
“Quando appare una visione non si ceda al panico, ma di qualunque cosa essa sia, per prima cosa si domandi, pieni di coraggio: “ Chi sei e da dove vieni?” ( pg.48).
“Suggestione, dialogo, acconsentimento, passione” , possono ugualmente indicare per il cristiano le dinamiche della tentazione del peccato e dell'attaccamento dell'errore per il buddhista, vigilanza e attenzione, possono essere i comuni strumenti di lotta,
Il disarmarsi che invoca Athenagoras I nella “ guerra più aspra, quella contro se stesso”(pg 237), richiama vivissimamente l'abbandono di ogni resistenza difensiva, il lasciare andare, la rinuncia alla separazione dalla vita della meditazione buddhista.
E nella conversione a Dio del pentimento, dalla lotta spirituale cristiana certamente è richiesta nei nostri confronti la stessa precisione attenta e gentilezza amorevole della maitri buddhista, in luogo della vergogna del senso di colpa
Per il cristiano si tratta indubbiamente, come per il buddista , di purificare la brama dell’attaccamento e dell’avversione che è alimentata dalla inconsapevolezza o nescienza del reale, dall'ignoranza del fatto che come ogni altro essere non siamo il principio originario della nostra esistenza, dalla mancata comprensione e accettazione della realtà che ci limita (pg. 73),( che per il buddhismo è la inconsapevolezza della impermanenza del tutto e della nostra mancanza di sussistenza autonoma, a causa dell'interdipendenza di tutto da tutto, in cui consiste il vuoto- di essenzialità in se sussistenti- del sunyata,- ma diversa è la forza purificatrice che ci risolleva e ci edifica, perché solo nel buddismo devozionale, quale è quello Amida, lo spirito del Buddha può essere attinto aprendosi alla misericordia e alla grazia di un datore di vita personale, come richiede la lotta spirituale cristiana, che insieme con l'assiduità con la parola delle Scrittura, che è parola di Dio, richiede la preghiera e l'invocazione del Signore, la confidenza nella sua misericordia, nell'eucarestia come magistero spirituale, il fondarsi in radice sulla fede della resurrezione di Gesù Cristo ( pgg.56-63)( Confronta P. Knitter, Senza Buddha non potrei essere cristiano, Fazi Editore, 2011) .
(Sono dunque l’accettazione della realtà di noi stessi e degli altri, nei limiti propri ed altrui, l’obbedienza, per amore, alla propria creaturalità e all’Amore trinitario, i presupposti della propria attuazione autentica, (pg77), del vero modo di essere a immagine e somiglianza di Dio.

Nessun commento: